SUTRI- Vt- Madonna del Parto
In passato è stato attribuita da alcuni al periodo etrusco, da altri ancora ad epoca paleocristiana e da altri ancora è stato riconosciuta come mitreo dei primi secoli della nostra era. Quest’ultima tesi sembra ormai non lasciare spazio ad alcun dubbio, giacché di recente è stato possibile dimostrare che, in un’epoca che possiamo far coincidere con il primo Trecento, un rilievo raffigurante una tauromachia è stato staccato dalla parete di fondo della chiesa e sostituito da un riquadro con la Natività che ancora oggi fa bella mostra di sé in prossimità dell’altare104. La lastra di tufo in questione si conserva a più di dieci chilometri da Sutri, murata all’esterno di un casolare situato lungo la via Cassia. Le testimonianze pittoriche constano di un piccolo nucleo risalente ai primi secoli dell’era cristiana, con le immagini di un pesce, di un pavone e di una croce gemmata, e di una copiosa serie di pannelli, per lo più votivi, realizzati in momenti diversi tra la fine del XIII secolo e la prima metà del XV.
La chiesa è ricollegabile al complesso monastico benedettino che ancora oggi è denominato catastalmente “S. Benedetto”. La chiesa altomedioevale è stata restaurata più volte e affrescata nel secolo XIII con temi raffiguranti pellegrini che si recano a monte S. Angelo. Dopo un quasi completo abbandono durato piu’ di un secolo il vescovo Vecchiarelli nel 1738 la restaura dedicandola alla Madonna del Parto, facendo tagliare l’affresco posto sull’unico altare e stabilendo la nuova festa l’ultima domenica di agosto.
A sud-est di Sutri, nei pressi dell’antico anfiteatro, si trova la chiesa di Santa Maria del Parto. . La chiesa fa parte di un vero e proprio agglomerato rupestre caratterizzato da un gran numero di vani distribuiti su due livelli in gran parte inaccessibili. La facciata tufacea introduce ad un atrio di mt.4,05x 3,37 con il vano chiesa a tre navate scavate nel tufo, senza intonaco e pavimento Interamente scavata nel tufo, ha un interno contraddistinto da una lunga serie di pilastri che dividono lo spazio in tre navate, la centrale più ampia, con volta a botte ribassata, le laterali con soffitto pianorealizzati in momenti diversi tra la fine del XIII secolo e la prima metà del XV.
Riferibile ai primi decenni del ’300, e quindi al di là dei limiti cronologici che ci siamo prefissati, è la decorazione del vestibolo d’ingresso che rappresenta, al centro di due riquadri con santi in posa stante, la rara scena del miracolo del monte Gargano, caso più tardo, ma anche più noto, di quello del vicino santuario di San Vivenzio a Norchia. Pure il ciclo cristologico sulla parete ovest della navatella settentrionale, a sinistra di chi entra, di buona fattura nonostante risulti lacunoso e assai deteriorato, sembrerebbe coevo o di poco successivo alle pitture del vano d’entrata di San Vivenzio a Norchia.
La chiesa sulla via Francigena per Roma rappresenta, come la grotta di S. Vivenzio a Norchia, un’importante snodo tra via Francigena Romea , via Micaelica e via per Santaigo. Il beato Jacopo da Varagine, frate dominicano vissuto nel XIII sec. (1228-1298), scrisse la “Legenda Aurea” intorno al 1260 con continui aggiustamenti e ritocchi fino al 1298, anno della sua morte. Il paragrafo dedicato a “San Jacopo”, ossia l’apostolo Giacomo il Maggiore, contiene delle analogie con i culti sopra citati (quello mitraico e quello micaelico). Dopo la morte di S. Giacomo,fatto decapitare da Erode Agrippa il corpo fu trasportato dai suoi discepoli su una nave che approdo’ in Galizia, Il suo corpo fu posto su una pietra che lo racchiude mollificandosi. I discepoli si recano dalla regina lupa per chiedere un luogo dove costruire una chiesa, questa subdolamente dice di avvelersi di buoi che in quella zona sono particolarmente selvaggi. Con la croce ammansiscono un drago e i buoi che trasportavano il corpo e per il prodigio convertono la regina e fondano la chiesa
Contatti: Comune di Sutri, web: http://www.comune.tivoli.rm.it/intro/
VITERBO- Vt.- S. Angelo in Spatha
La chiesa di Sant’Angelo in Spatha deve il suo nome alla famiglia Spatha che la ebbe in proprietà a partire dall’XI secolo. A quest’epoca risale la prima documentazione che attesta l’esistenza della chiesa: un documento del 1078 riferisce della sua fondazione, ed un altro del 1092 attesta la sua erezione a collegiata. Una lapide interna alla chiesa riporta la data della sua consacrazione ad opera di papa Eugenio III l’8 maggio del 1145. Nei secoli successivi la chiesa subì diversi restauri e rifacimenti: in particolare, a causa del crollo del campanile, nel 1560 fu rifatta la facciata, eliminando l’originario portico antistante. Nel XVIII secolo si operò un totale rifacimento dell’edificio, che portò di fatto alla sostituzione della vecchia struttura con una nuova: scomparvero in questo modo le tre navate, le tre absidi e il tetto a capriate; fu aggiunto in questo periodo il nuovo campanile. L’abside settecentesca venne ricostruita dopo le distruzioni dovute ai bombardamenti del 1944. Recenti restauri si sono conclusi nel 2006.
La facciata si presenta a forma di capanna, con portale sormontato da una lunetta, e tre finestre disposte a triangolo; perpendicolarmente alle tre finestre vi sono tre stemmi: quello di papa Pio IV, e i due laterali di Piccolomini Baldini e del comune di Viterbo. Nella finestra centrale vi è una vetrata che raffigura san Michele Arcangelo, titolare della chiesa. A destra del portale d’ingresso vi è una copia di un sarcofago di epoca romana, riutilizzato come sepolcro della “bella Galliana”, figura leggendaria viterbese la cui storia è narrata da due lapidi, risalenti al XVI secolo e poste sopra il sarcofago stesso. Il fianco destro della chiesa conserva resti dell’antica chiesa medievale.
La chiesa è ad un’unica navata con volta a botte ed illuminata da cinque finestre; presenta un transetto ed un presbiterio a pianta quadrata con abside; sulla navata si aprono tre cappelle per lato. Di epoca romana è la tazza marmorea, a sinistra appena entrati, utilizzata oggi come fonte battesimale. Un grande capitello romanico funge da basamento all’altare maggiore, su cui si trova una grande tela di Filippo Caparozzi raffigurante la Madonna in trono col Bambino, angeli che la incoronano e santi.La chiesa inoltre conserva opere di pittori viterbesi del XVII-XVIII secolo, una tavola del XIV secolo raffigurante una Madonna col Bambino attribuita a Andrea di Giovanni, ed un Crocifisso ligneo anch’esso
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